Per giorni si è discusso di un’inchiesta di The Verge che avrebbe rivelato come nello stabilimento Amazon di Baltimora, a licenziare, sia un software che si chiama ADAPT (Associate Development and Performance Tracker), un sistema di monitoraggio della produttività dei dipendenti che raccoglie le statistiche relative al rendimento e quelli che vengono definiti Time off Task, cioè il tempo di pausa tra un’operazione e l’altra: “Se un dipendente riceve due avvisi formali o accumula sei notifiche semplici in un periodo di un anno” si legge nei documenti ottenuti grazie ad una disputa tra un dipendente licenziato e la società di Jeff Bezos, “il sistema genera automaticamente un avviso di licenziamento”. Il dibattito ha suscitato un certo clamore anche in Italia. L’idea che un algoritmo possa decidere chi licenziare, in effetti, suscita orrore.
Ma le cose stanno davvero così? A licenziare è un software? In realtà il monitoraggio della produttività è sempre esistito. Che poi, ad effettuarlo, sia una macchina o un supervisore umano poco cambia. Il software, programmato – da umani – su parametri definiti dall’azienda, raccoglie statistiche ma poi a licenziare è la proprietà che ha sempre l’ultima parola sui provvedimenti da adottare contro i lavoratori, come spiega, con una battuta, il segretario nazionale della Fiom Michele De Palma.
E in effetti, attribuendo – impropriamente – al software il potere di licenziare, si rischia di sottrarre le aziende dalle proprie responsabilità. Accade ad Amazon ma accade anche nelle grandi multinazionali del Food Delivery come Glovo, Ubereats, Just Eat e Deliveroo che ha brevettato un software autoapprendente di nome Frank che indica le performance dei lavoratori assegnando loro dei punteggi di rendimento e, di fatto, stabilendo chi è produttivo e chi non lo è.
Da tempo, i rider, accusano le aziende di giocare a nascondino dietro gli algortimi. Ma a decidere chi licenziare, come dice De Palma, è sempre e solo la proprietà.
Fortebraccio News