Fatela finita, santo cielo. Un uomo ammazza brutalmente una donna e “il Giornale” titola sul “gigante buono” e “l’amore non corrisposto”: fatela finita. Chi uccide una donna perché quella donna non si piega alla sua volontà è il più becero degli assassini. Punto.
“Il Giornale” ci ha abituati a questo sovvertimento scriteriato della moralità umana, è vero: ma se pure ci aspettiamo ormai il peggio, saremmo complici ad accettarlo. E basta con questo abuso della parola “amore”, ogni qual volta un uomo ammazza una donna – in questa lunga strage continua che sembra senza fine.
Dobbiamo pretendere –esatto: pretendere- di non dover mai più leggere, come oggi su “Repubblica”, che Elisa Pomarelli è stata trucidata e poi gettata in un fosso perché i “confini” da lei posti creavano frustrazione all’omicida. Che era solo un gioco, un’incomprensione, “intenti e fini che non combaciavano”.
Di nuovo: la vergognosa menzogna dell’amore “morboso”, ”passionale”, “non corrisposto”… Chi per lavoro è chiamato a raccontare queste tragedie si ricordi di avere una responsabilità enorme: lo stato d’animo e il clima morale con cui una società vive, affronta e supera o meno questi orrori nasce innanzitutto proprio dal modo in cui vengono presentati. Un brutale assassino non può essere spacciato per un pover uomo innamorato: non siate moralmente complici del prossimo femminicidio. Come ha scritto Martina Toti, di Radioarticolo1: “Cari colleghi giornalisti, non lo sentite il fango di quel fosso che vi sporca un po’ le dita?”
Andrea Malpassi